I giudizi introdotti con ricorso

dopo la riforma (e la controriforma) del processo civile

di Arturo Picciotto

giudice del Tribunale di Trieste

  1. Molto interesse ha suscitato in dottrina la sorte dei processi ordinari introdotti con ricorso all’indomani della entrata in vigore della novella del 1990; i commentatori si sono soffermati particolarmente sul processo esecutivo, ma numerosi altri procedimenti sono interessati dalle conseguenze della "controriforma"; si pensi, oltre ad evenienze interne alla dinamica processuale ordinaria, quale la riassunzione ex artt. 302 e 303 c.p.c.,

ai ricorsi in materia fallimentare;

ai giudizi di opposizione all’esecuzione iniziata ex art. 615, co. II, c.p.c., di opposizione agli atti esecutivi e di opposizione di terzo;

alle controversie sulla distribuzione del ricavato;

al processo di separazione dei coniugi ed a quello di divorzio;

al processo di dichiarazione di inefficacia del provvedimento cautelare ex art. 669 novies c.p.c.;

alla impugnazione delle deliberazioni assembleari condominiali che secondo la giurisprudenza affatto dominante della S.C. devono essere introdotti con ricorso (sent. n. 6205 del 09/07/1997, sez. 2, riv 505846);

al giudizio in materia di opposizione alle ordinanze ingiunzioni, oggi dilatatosi a seguito delle vicende connesse alla diretta impugnabilità dei verbali di accertamento di infrazioni al codice della strada;

ai giudizi di opposizione alle ingiunzioni di pagamento ex art. 3 R.D. 14.4.1910, n.639;

al giudizio possessorio, laddove il ricorso introduce anche la fase meritale secondo la sentenza delle sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione;

ai giudizi di opposizione agli sfratti di cui alla legge 9 dicembre 1998, n. 431.

Da questi vanno esclusi tutti quelli che direttamente o indirettamente vengono disciplinati dal rito speciale: quanto ai primi, il riferimento è ai processi in materia di lavoro e previdenza; quanto ai secondi, si pensi ai processi in materia locatizia ex art. 447 bis c.p.c. (per quanto anche questo procedimento non sia del tutto autonomo ma richieda integrazioni da parte della normativa del rito ordinario) ed ai processi ex lege 1972/1035 -I.A.C.P.-.

  1. L’opinione che inizialmente si era fatta largo tra gli operatori del diritto era quella di una compatibilità delle norme aventi ad oggetto l’atto di citazione, quale introduttivo del processo ordinario, con la struttura del ricorso e dei giudizi che esso incardina.

Come noto, nei procedimenti contenziosi che iniziano con ricorso si verifica, rispetto a quelli in cui la domanda si propone con citazione, un'inversione logica e cronologica nella successione del rapporto delle parti tra loro e del rapporto parti-giudice, nel senso che si determina per primo il rapporto cittadino-giudice, per il solo fatto della presentazione del ricorso, ed in un momento successivo, con la notificazione del ricorso e del decreto, si instaura il contraddittorio tra le parti.

Ne consegue che in tali procedimenti si configura del tutto inutile una costituzione dell'attore ai sensi dell'art. 165 cod. proc. civ., per cui l'attore, depositando il ricorso, non ha l'onere di presentare la nota di iscrizione a ruolo, ma solo quello di effettuare il deposito di cancelleria di cui all'art. 38 disp. att. cod. proc. civ. mentre il cancelliere deve fermare il fascicolo d'ufficio ed iscrivere l'affare nel ruolo generale ai sensi dell'art. 36 disp. att. cod. proc. civ. (Cass., sez. 1, sent. 08/09/1992, n. 10291).

Si deve dar conto di tre principali posizioni:

  1. quella di chi (de Francisco) ammette in numerosi casi la idoneità del ricorso ad introdurre in via ordinaria il processo di cognizione, salvo poi proporre varie soluzioni per passare dalla fase sommaria a quella ordinaria;
  2. l’altra di chi (Proto Pisani) sostiene la inidoneità a tal fine del ricorso, dovendosi necessariamente porre l’esigenza di un cambiamento di rito dopo la fase iniziale, a cognizione sommaria, sovente non disciplinata quanto a modi, tempo e forma.
  3. e l’ultima di chi (Costantino), non ritenendo corretto né utile discutere sul modo in cui vengano ad operare, nei procedimenti di tipo speciale iniziati con ricorso, gli artt. 163, 165, 166, 167, 180 e 269 c.p.c., si è adoperato al fine di verificare concretamente, ed in seno ai diversi tipi di giudizio presi in esame, in che modo possano essere proposte dalle parti nuove domande, rispetto a quelle già avanzate con l’atto introduttivo, quando ed in che modo possono essere precisate quelle già proposte; quando ed in che modo possano essere proposte le eccezioni, sia rilevabili d’ufficio che su istanza di parte; quando ed in che modo possano essere articolati i mezzi istruttori.

Le due prime teorie concordano nel ritenere che dopo una prima fase occorra qualche provvedimento di adeguamento del rito, e si deve solo discutere su quali siano tali modalità di adeguamento.

a.1.) Per parte della dottrina (de Francisco in un lavoro scritto prima della "controriforma", e quindi senza la attuale previsione della udienza di prima comparizione ex art. 180 c.p.c., e senza le importanti modifiche apportate all’art. 183 c.p.c. in tema di udienza di trattazione, ma in seguito aggiornato in Giur. It. 1995, 341-), sarebbero inapplicabili:

e ciò sia per la letteralità dei riferimenti normativi all’atto di citazione, sia per la impossibilità di estendere analogicamente norme eccezionali, quali quelle che impongono decadenze e preclusioni.

Inoltre, nell’ipotesi di applicabilità degli artt. 166 e 167 c.p.c., non si riuscirebbe ad evitare una alternativa comunque invincibile:

a ) se si reputa che questo soggetto debba essere il giudice, in applicazione di un principio già espresso dall’art. 641 c.p.c. in tema di decreto ingiuntivo, tuttavia rimangono le difficoltà per il caso in cui l’avvertimento venga omesso: sul punto è stato osservato (Giorgio Di Benedetto, Documenti Giustizia, 1995, 1313) che sarebbe infatti inattuabile il sistema della rinnovazione dell’atto ex art. 164 c.p.c., che è pensato solo per gli atti di parte, con le relative conseguenze in tema di perentorietà del termine di rinnovazione e di estinzione del processo per inattività (ovviamente è inapplicabile il principio sulla rinnovazione degli atti nulli ex art. 162 c.p.c.).

b ) Se si opina invece che debba essere il ricorrente ad inserire in ricorso l’avvertimento, si è osservato che, ad esempio nel caso del giudizio di opposizione all’esecuzione iniziata o agli atti esecutivi, l’art. 184 disp. att. c.p.c., tuttora in vigore, richiama testualmente solo i numeri 4 e 5 dell’art. 163, e non il numero 7: ciò costituirebbe un insormontabile ostacolo di tipo formale e letterale.

Questa dottrina ritiene quindi applicabili le previsioni in tema di udienza di trattazione e di deduzioni istruttorie (artt. 183 e 184 c.p.c.), ma opina anche che i termini a comparire siano quelli indicati dal giudice "secondo il suo prudente apprezzamento" con il decreto in calce al ricorso. Inoltre, prendendo spunto specialmente dalla materia delle opposizioni nel processo esecutivo introdotte con ricorso, sottolinea

e vedremo trattarsi di un tema ricorrente nelle diverse posizioni dottrinali

che la prima occasione di contatto tra giudice e parti ha sovente carattere di informalità, e spesso deve intervenire nel più breve termine possibile; solo dopo tale incontro il giudice verrebbe a fissare l’udienza ex art. 183.

a.2.) Secondo altro autore (Di Benedetto, op. loc. ult. cit.) sarebbe invece applicabile l’art. 163 n°7 c.p.c., in virtù dell’inscindibile collegamento tra tale norma ed il sistema di preclusioni e decadenze stabilito dagli artt. 166 e 167 c.p.c.: tali preclusioni, si è detto, comunque oggi informano di loro l’intero processo, ed allora il ricorso che ne fosse privo sarebbe nullo ex art 164 c.p.c., ma ancor prima in base al principio di cui all’art. 156, comma II, c.p.c., per impossibilità di raggiungere lo scopo precipuo dell’atto, cioè quello di introdurre validamente il processo e consentire la sua conduzione attraverso l’iter delle preclusioni.

a.3.) Molto più articolata la prospettazione recentemente offerta da chi (Raffaele Frasca, relazione tenuta all’incontro di studi "I PRETORI CIVILI" il 13-16 marzo 1996, Frascati), movendo dall’esame del più diffuso tipo di processo ordinario introdotto con ricorso, quello di esecuzione, ha operato una ricostruzione che, partendo dalle originarie norme vigenti nel 1942, passando per la riforma del 1950, per quella del 1990, ed infine arrivando alla "controriforma" della legge 534/1995, si è soffermato sulla ratio delle norme e dei principi, più che sul tenore letterale delle disposizioni.

A tal proposito vanno ricordate, sia pur brevemente, le innovazioni della novella, e cioè:

A fronte di tali innovazioni, ha osservato l’autore, sono rimasti invece invariati i disposti di due norme specificamente dettate per alcuni giudizi ordinari introdotti con ricorso, e cioé:

Poiché si deve certamente escludere una abrogazione tacita delle due norme, in mancanza di palese incompatibilità con la novella, allora si deve ritenere - secondo il ragionamento di questo autore - che ancora oggi i giudizi di opposizione alla esecuzione iniziata si propongano con ricorso;

ed allora, se tale atto svolge la funzione di introdurre un giudizio ordinario , così come la citazione

e se il sistema delle preclusioni rimane fermo in tali giudizi

ne deriva logicamente che tale processo esige la "automatica integrazione" degli artt. 615, co. II, 618, co. I, e 619, co II c.p.c. da parte dell’art. 163 n°7.

Il propugnatore di questa tesi sostiene poi, circa il richiamo che l’art. 185 disp. att. opera nei confronti dell’art. 183 c.p.c., che esso debba essere interpretato in senso logico e storico, poiché la attuale udienza di trattazione è ben diversa da quella anteriore alla riforma; nulla osterebbe, quindi, a intendere che il rimando debba avere quale termine di relazione razionale e strutturale quella che è l’attuale udienza di comparizione delle parti, come oggi disciplinata dell’art. 180 c.p.c., invece che dal vecchio art. 183 c.p.c..

Ciò detto, consegue che il ricorso introdurrà il giudizio ordinario nelle stesse forme e con gli stessi effetti di un atto di citazione, mantenendo però la precipua caratteristica di consentire quel contatto immediato tra ricorrente e giudice che, spesso, è finalizzato alla richiesta di provvedimenti urgenti.

  1. Proto Pisani: sfumare.

c) Recente e molto articolata, sebbene frettolosamente conclusiva, la opinione di chi (COSTANTINO G., in Foro It., 1996, V, 245) propone una sorta di "rivoluzione copernicana" del problema ritenendo che non sia corretto né dogmaticamente utile discutere sul modo in cui vengano ad operare, nei procedimenti di tipo speciale iniziati con ricorso, gli artt. 163, 165, 166, 167, 180 e 269 c.p.c., ma di verificare in che modo possano essere proposte dalle parti nuove domande, rispetto a quelle già avanzate con l’atto introduttivo, quando ed in che modo possono essere precisate quelle già proposte; quando ed in che modo possano essere proposte le eccezioni, sia rilevabili d’ufficio che su istanza di parte; quando ed in che modo possano essere articolati i mezzi istruttori.

Il leit motif è quello di una rigorosa interpretazione

dell’art. 125 c.p.c. in tema di contenuto del ricorso;

dell’art. 156 c.p.c.in tema di tassatività della nullità, tra le quali non è ricompresa quella relativa alla violazione del disposto dell’art. 163, n. 7, c.p.c.;

dell’art. 121 c.p.c. in tema di libertà delle forme;

ed in generale l’esigenza di una corretta applicazione dell’art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile in virtù della quale, ogni volta che il processo speciale veda disciplinata sia pure in parte le sue peculiari modalità di svolgimento, non risulterebbero allora applicabili le norme generali in tema di processo ordinario poiché la legge generale sopravvenuta, e cioè quella di riforma del processo ordinario, salve le espresse previsioni non può abrogare o modificare le leggi speciali anteriori.

Secondo l’autore, dunque, la distinzione la udienza di prima comparizione ex art. 180 c.p.c. e la prima udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c., nonché la previsione delle attività da compiere nell’una o nell’altra, sono intimamente collegate alla disciplina della fase introduttiva del processo ordinario di cognizione innanzi al tribunale:

ed infatti le verifiche che il giudice è chiamato a compiere nella udienza di prima comparizione riguardano:

la regolarità dell’atto di citazione ex art. 163 c.p.c.

della comparsa di risposta ex art. 167 c.p.c.

della costituzione delle parti ex art. 165, 166 c.p.c.

ma essendo inapplicabili tali norme alle specifiche fattispecie procedimentali prese in esame dall’autore

ricorsi in materia fallimentare;

giudizi di opposizione all’esecuzione iniziata ex art. 615, co. II, c.p.c., di opposizione agli atti esecutivi e di opposizione di terzo;

controversie sulla distribuzione del ricavato;

processo di separazione dei coniugi ed a quello di divorzio;

processo di dichiarazione di inefficacia del provvedimento cautelare ex art. 669 novies c.p.c.;

impugnazione delle deliberazioni assembleari condominiali che secondo la giurisprudenza affatto dominante della S.C. devono essere introdotti con ricorso (sent. n. 6205 del 09/07/1997, sez. 2, riv 505846);

tutti caratterizzati da una prima fase che non si presta strutturalmente al compimento di tali attività,

non appare allora ragionevole invocare neppure la applicazione degli artt. 180 o 183 c.p.c..

In conclusione, il vero problema sarebbe quello di verificare in che modo possano essere proposte dalle parti nuove domande, rispetto a quelle già avanzate con l’atto introduttivo, quando ed in che modo possono essere precisate quelle già proposte; quando ed in che modo possano essere proposte le eccezioni, sia rilevabili d’ufficio che su istanza di parte; quando ed in che modo possano essere articolati i mezzi istruttori.

Rimane da dire che in uno sforzo di classificazione, quasi tutti i procedimenti fin ora indicati si caratterizzano per la presenza di un subprocedimento che precede la trattazione della causa nella forma ordinaria, pur costituendone comunque una fase in senso stretto.

La domanda è proposta con l’atto introduttivo della fase regolata dalla disciplina speciale, cosicché la pendenza del processo e la realizzazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale sono determinate in riferimento a tale atto , che assume solitamente la forma del ricorso da depositare.

In ciascuna di tali fasi il procedimento è suscettibile di una immediata definizione, cosicché la trattazione nella forma ordinaria è solo eventuale, ed il passaggio dalla prima alla seconda non è disciplinato. Cosicchè, a ben vedere le alternative rimangono:

  1. quella di ritenere che l’atto introduttivo della fase sommaria sia già idoneo a supportare quella di merito, con diretta applicabilità al ricorso della disciplina di cui agli artt. 163 e 164 c.p.c. e che alla udienza del subprocedimento debba applicarsi l’art. 180 c.p.c.; ipotesi esclusa proprio in ragione della specifica disciplina dei procedimenti citati;
  2. quella di ritenere che nel passaggio tra le due fasi il giudice debba emettere provvedimento di mutamento del rito, con fissazione di udienza di trattazione nel rispetto dei termini liberi a comparire ed avvertimento in ordine alle preclusioni ex art 163 n. 7 c.p.c. (con tutti i problemi connesi di cui ho fatto cenno)
  3. e l’ultima, preferita dall’autore, per cui alla prima udienza della fase da trattarsi secondo il rito ordinario il giudice debba fissare alle parti il termine per la integrazione degli atti.