Giovanni Sansone

 

I controlli "interni" esercitati sulla gestione delle società con azioni quotate: poteri e responsabilità dei sindaci e delle società di revisione.

 

 

 

 

 

 

 

 

Relazione all’incontro di studio organizzato dal C.S.M. sul tema

"Il mercato dei valori mobiliari tra regole e controlli"

Roma, 27/29 maggio 2002

 

 

 

 

1 – IL CONTESTO ECONOMICO IN CUI S’INSERISCE IL NUOVO SISTEMA DEI CONTROLLI NELLE SOCIETA’ CON AZIONI QUOTATE.

Ritengo opportuno partire in questa mia conversazione da un esame rapidissimo del contesto economico in cui s’inserisce il sistema dei controlli che i sindaci e la società di revisione sono chiamati ad esercitare sulla gestione delle società con azioni quotate. La comprensione della realtà economica, degli interessi che la innervano, invero, è preliminare ad una corretta ed appropriata ricostruzione della disciplina. E’ l’attento esame della realtà economica che consente al giudice di dare appropriato contenuto alle clausole generali, di legittimare regole emergenti dalla prassi, di ricostruire, nel rispetto dei principi dell’ordinamento, regole ragionevoli. E’, del resto, attraverso la comprensione della realtà economica in cui opera ed in cui incide l’intervento che gli viene richiesto che il giudice acquisisce quella "consapevolezza dei termini culturali dei problemi, dei valori sottesi ad ogni scelta operativa" in cui si esprime la sua professionalità.

Nell’interessante nota illustrativa di questo incontro di studio è stato messo opportunamente in rilievo il processo di privatizzazione che ha comportato il trasferimento della proprietà delle aziende al settore privato. La privatizzazione delle società pubbliche ha aumentato l’offerta del capitale di rischio per importi senza precedenti conferendo al mercato di borsa un’importanza che non aveva avuto nel corso della sua esistenza, relegato in un ruolo di subalternità rispetto al finanziamento bancario.

Ma il mercato di borsa ha assunto importanza anche per la sua capacità di fornire alle imprese mezzi patrimoniali propri adeguati non potendo le loro esigenze finanziarie essere efficacemente soddisfatte dal sistema bancario. I maggiori costi dell’intermediazione bancaria se potevano essere neutralizzati in un mercato nazionale fortemente protetto dalla concorrenza delle imprese straniere, rendono non competitive le imprese che debbano sopportarli in un sistema di internazionalizzazione delle attività commerciali. I costi dell’intermediazione bancaria sono infatti superiori ai costi della raccolta dei capitali di rischio effettuata direttamente tra i risparmiatori, anche quando per tale raccolta si fa ricorso all’intermediazione finanziaria, che si ha quando le imprese bisognose di capitali incaricano le imprese finanziarie di organizzare il collocamento dei propri strumenti di raccolta tra il pubblico dei risparmiatori.

L’inserimento del nostro paese in un mercato internazionale concorrenziale rende avvertita, allora, l’esigenza di rafforzare, sia sul piano delle dimensioni sia sul piano dell’efficienza, le imprese nazionali assicurandogli le condizioni che gli consentano una raccolta diretta di ingenti capitali (e quindi a costi minori della raccolta indiretta tramite il sistema bancario, gravato del costo dell’intermediazione) e dovendo perciò predisporre appositi strumenti giuridici della tutela (della massa) dei piccoli investitori.

- In questo quadro, l’affidabilità della regolarità della gestione delle società quotate, i processi di interna produzione dei flussi di informazione societaria, il sistema di registrazione contabile degli eventi di gestione, la sua corretta tenuta, la sua fedeltà agli accadimenti, assumono un ruolo cruciale perché si riflettono anche sulla regolarità e sull’efficiente funzionamento del mercato di borsa. Per il piccolo risparmiatore, infatti, la scelta dell’investimento è condizionata soprattutto da due considerazioni:

  1. l’affidabilità del possibile valore dell’impresa indipendentemente dalla capitalizzazione di borsa, troppo spesso poco espressiva dei valori reali e quindi l’affidabilità della situazione patrimoniale della società, così come risulta dalla documentazione contabile, la quale quindi deve essere attendibile;
  2. la previsione sulle modalità di gestione dell’investimento: è quindi importante la previsione sull’efficienza dei controlli, sulla attività del soggetto che gestisce l'impresa responsabile della conservazione del valore dell’investimento.

Per favorire l’investimento nel mercato di borsa, l’affidabilità delle società quotate assume quindi un ruolo decisivo. Il rigoroso sistema di controlli sull’operato di queste società è volto al perseguimento di tali finalità. Pertanto, la funzione del collegio sindacale di società emittenti titoli quotati, così come quella della società di revisione, va intesa soprattutto a garanzia del mercato.

 

2 – LA RIDEFINIZIONE DEI COMPITI DEL COLLEGIO SINDACALE E DELLA SOCIETA’ DI REVISIONE.

- Si può dire che il T.U. ha ridefinito il sistema dei controlli interni sulla gestione delle società con azioni quotate attraverso una precisazione degli obiettivi ed una divisione dei compiti rispettivi del collegio sindacale e della società di revisione al fine di consentire un più efficace adempimento degli stessi.

L’esigenza di questa ridefinizione è stata espressa efficacemente dal Presidente della Consob in sede di audizione rilevando come "il sovrapporsi dei compiti di controllo contabile assegnati a questi due organi ha infatti spesso determinato perdite di efficacia, confusione e deresponsabilizzazione. I controlli del collegio sindacale non hanno dato prova di grande efficacia a causa sia dell’indeterminatezza e della poca incisività dei poteri conferiti a quell’organo, sia dalla insufficiente indipendenza dei suoi componenti rispetto ai gestori della società"

Al fine di correggere gli inconvenienti lamentati è stata attribuita ai revisori l’esclusiva del controllo contabile e sono stati meglio definiti e rafforzati i poteri dell’organo sindacale con riguardo alla correttezza della gestione sociale.

Per effetto delle innovazioni apportate il tradizionale organo di controllo interno alle società con azioni quotate subisce un processo di maggiore responsabilizzazione che lo rende, almeno sotto il profilo sistematico della ripartizione delle competenze, come l’organo fondamentale del controllo sulla gestione delle società con azioni quotate. Il collegio sindacale, in definitiva, viene a svolgere una "funzione di sovrintendenza dei sistemi di controllo".

Mentre è rimasta ferma la vigilanza sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, è stato, infatti, realizzata – come s’è detto - l’auspicata attribuzione del controllo sulla contabilità in capo alla società di revisione, con corrispondente eliminazione delle sovrapposizioni delle competenze tra i due soggetti. Al collegio sindacale, tuttavia, è assegnata la competenza a valutare l’adeguatezza del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo – contabile. Per altro verso, poi, la previsione secondo la quale il collegio sindacale vigila sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, rende più definita la natura del controllo sulla amministrazione devoluto all’organo di vigilanza.

Nonostante l’espressa attribuzione del controllo sulla contabilità alla società di revisione, si ritiene che il collegio sindacale non può reputarsi del tutto estraneo al controllo contabile, in particolare a quello sul bilancio. Si è infatti sottolineato che dovendo il collegio sindacale vigilare sulla legalità e correttezza della gestione, non potrebbe totalmente disinteressarsi né della regolare tenuta della contabilità, né della corretta rappresentazione in bilancio dei fatti di gestione, né, più specificamente delle regole fissate per la valutazione dei cespiti sociali. Questa conclusione, peraltro, viene dedotta oltre che dalla constatazione che i sindaci devono pur sempre vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, dal fatto che l’art. 153 prevede che il collegio sindacale possa far proposte "in ordine al bilancio ed alla sua approvazione". In definitiva, dal momento che il bilancio è necessariamente uno degli strumenti da utilizzare per la valutazione della correttezza dell’amministrazione si ritiene che, sebbene il controllo in via continuativa della regolare tenuta della contabilità sia stato trasferito alla società di revisione, il controllo sulla contabilità e sul bilancio non possa ritenersi del tutto estraneo alla vigilanza del collegio sindacale. Data la competenza sul controllo contabile affidata alla società di revisione, il controllo esercitato dal collegio sindacale sarebbe quindi di tipo sintetico complessivo, lasciando alla società di revisione il controllo analitico e approfondito. La circostanza che al collegio sindacale sia affidato il compito di vigilanza sulla adeguatezza ed affidabilità del sistema amministrativo contabile, confermerebbe questa conclusione.

Può essere opportuno sottolineare che la configurabilità di una permanenza di duplicazione di controlli è influenzata dalla peculiarità tutta italiana nel panorama societario europeo, ove spesso la vigilanza sull’amministrazione è affidata ad un organo munito di funzioni gestorie (comitato di sorveglianza) ed il controllo contabile è del tutto distinto dalla prima ed affidata a soggetti revisori esterni ed indipendenti ("auditors"). In Italia collegio sindacale e società di revisione assumono ambedue funzioni specificamente di controllo e il controllo contabile, pur attribuito specialisticamente ai revisori esterni, non è tuttavia assente dalle funzioni proprie del collegio sindacale.

Il T.U. finanza assegna – come s’è detto - al revisore esterno il controllo contabile puntuale ed al collegio sindacale anche la vigilanza sull’adeguatezza della struttura organizzativa del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo contabile.

Tuttavia, le diverse finalità del controllo contabile svolto dal revisore e di quello di cui è competente il collegio sindacale eliminano , a mio avviso, le sovrapposizioni di competenze: la vigilanza dei sindaci è un controllo sulle modalità con cui gli amministratori compiono le scelte di che comprende anche, come strumento di ausilio, il controllo contabile; la vigilanza del revisore, invece, è un controllo di legalità formale e sostanziale sui dati contabili.

La funzione del revisore viene ad essere, da una parte più limitata di quella dei sindaci perché, non essendo organo sociale, il revisore non partecipa alla gestione e alle decisioni della società; dall’altra parte è più incisiva la funzione di controllo che la società di revisione deve svolgere in quanto le strutture, la dimensione organizzativa e l’alta professionalità permettono e impongono un controllo più penetrante ed efficace di quello che il collegio sindacale può svolgere.

In altre parole e conclusivamente mentre la società di revisione svolge il controllo in via ordinaria sulla regolare tenuta della contabilità, il collegio sindacale, pur mantenendo una più grande competenza contabile, può e deve avvalersi dei risultati del lavoro svolto dalla società di revisione.

In questo modo il collegio sindacale potrà concentrare la propria attenzione sul controllo della gestione sociale: per far ciò si servirà tanto del controllo contabile condotto in modo continuativo dalla società di revisione, quanto, se del caso, procedendo per proprio conto alle (ulteriori) verifiche che riterrà necessarie.

La società di revisione ha un funzione di ausilio tecnico.

 

3 – I DOVERI DEI SINDACI

E veniamo ai doveri dei sindaci elencati nell’art. 149.

Primo fra tutti figura quello di vigilare "sulla osservanza della legge e dell’atto costitutivo".

Quanto alle leggi sull’osservanza delle quali i sindaci debbano vigilare, il tenore volutamente generico della norma non autorizza interpretazioni restrittive. Pertanto il collegio sindacale è tenuto a vigilare anche sull’osservanza delle leggi poste a tutela dell’ambiente o della sicurezza del lavoro, la cui violazione, peraltro, è potenzialmente foriera di conseguenze assai gravi per la società.

La lettera b) dell’art. 149 affida ai sindaci il compito di vigilare sul rispetto dei principi di corretta amministrazione.

Si ripropone il tema della natura del controllo sindacale: controllo di legittimità o controllo di merito?

La tesi prevalente è quella che ritiene che il dovere di vigilanza sulla correttezza dell’amministrazione non implichi un’estensione del controllo al merito dei singoli atti compiuti dagli amministratori, attenendo piuttosto alle modalità con cui questi ultimi compiono le scelte di gestione. Il controllo ha ad oggetto, in altre parole, le procedure che precedono il compimento di un atto, la bontà, prudenza, dell’iter decisionale non - di regola almeno - la bontà della convenienza dell’atto stesso.

Per determinare quando l’amministrazione possa dirsi corretta è opportuno fare riferimento ai principi che devono regolare lo svolgimento delle funzioni degli amministratori e, quindi, essenzialmente al rispetto del principio di diligenza, come anche al criterio della congruenza, il perseguimento dell’oggetto sociale e, infine, al principio del divieto di agire in conflitto di interessi.

In coerenza con i criteri ora enunciati, al fine del riscontro del rispetto dei principi di corretta amministrazione il collegio sindacale dovrà valutare le modalità di amministrazione, il procedimento con cui vengono intraprese le operazioni, l’adeguata considerazione dei rischi e gli strumenti predisposti per valutare il rischio ed in genere per sopportare l’attività decisionale.

In base alla lett. c) dell’art. 149 il collegio sindacale deve verificare il sistema di controllo interno, il sistema amministrativo contabile e l’affidabilità di questo a rappresentare correttamente i fatti di gestione.

Il T.U. viene così a rivalutare significativamente il c.d. ispettorato interno (internal auditing), ovvero quella funzione istituita nell’ambito aziendale sulla correttezza amministrativa, il cui efficace funzionamento si rimette adesso alla vigilanza dei sindaci.

La valutazione vera e propria della adeguatezza della struttura organizzativa delle società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo contabile si fonda su una serie di verifiche, di cui la prima è quella relativa l’adeguatezza delle procedure previste allo scopo di rendere lo svolgimento di compiti correnti con gli obiettivi aziendali. E’ necessario, in altre parole, verificare che la struttura organizzativa sia appropriata, cioè tale da garantire l’attribuzione e l’esercizio del potere decisionale al massimo livello di competenza e imparzialità.

Deve inoltre essere verificata la "effettiva direzione dell’impresa da parte degli amministratori" consistente nella definizione delle risorse generali dell’azienda, nella funzione delle direttive generali cui devono attenersi gli organi aziendali e nel controllare che obiettivi prefissati vengano raggiunti.

 

4 – L’INFORMAZIONE

Funzionali all’adempimento dei doveri dei sindaci sono gli obblighi di informazione a carico degli amministratori.

Il primo comma dell’art. 150 prevede che gli amministratori siano tenuti, in aggiunta alle comunicazioni contemplate dal codice civile, a riferire al collegio sindacale sull’attività svolta e sulle operazioni di maggior rischio.

La disciplina delle modalità di tali comunicazioni è demandata all’atto costitutivo.

Ci si domanda se l’informativa degli amministratori debba necessariamente rivestire forma scritta o si possa prevedere un semplice dovere di relazione orale, eventualmente adempibile nel corso delle riunioni del c.d.a.. L’obbligo della forma scritta potrebbe giustificarsi con le esigenze di certezza che connotano la materia in esame, anche per quanto attiene ai possibili profili di responsabilità sia dei controllati che dei controllori.

Per ciò che concerne il contenuto della informativa, il riferimento alla "attività svolta" sembra doversi intendere alle modalità con cui essa viene espletata.

Le operazioni di maggior rilievo comprendono, ma non si esaminano, nelle operazioni idonee ad influenzare sensibilmente il prezzo degli strumenti finanziari di cui all’art. 114 n. 1.

 

5 – POTERI

Il controllo svolto dal collegio sindacale si articola essenzialmente in tre momenti: la fase c.d. ricognitiva, in cui il collegio assume le informazioni e i dati rilevanti per la propria attività di controllo; la fase valutativa, in cui il collegio si forma in giudizio sulla base degli elementi acquisiti; la fase comminatoria, in cui i sindaci hanno la possibilità di formulare determinati provvedimenti nel caso in cui siano state riscontrate irregolarità.

L’art. 151 disciplina alcuni poteri del collegio sindacale attinenti al primo momento (richiesta di notizie agli amministratori, atti di ispezione e controllo, ricorso ai dipendenti) ed al terzo (possibilità di convocare assemblea, c.d.a. e comitato esecutivo). La norma non esaurisce peraltro i poteri esercitabili dai sindaci. Basti pensare, infatti, per quanto riguarda la fase ispettiva, al potere-dovere di assistere alle riunioni del c.d.a (149) e di chiedere informazioni al responsabile dei controlli interni (150) e per quanto riguarda i poteri successivi al controllo, alla possibilità di denunciare i fatti al Tribunale ai sensi dell’art. 2409, nel caso di sospetto di gravi irregolarità (152).

L’introduzione di maggiori poteri ai sindaci risponde alla lamentata limitatezza di concreti strumenti di intervento attribuiti al collegio sindacale.

Il T.U. attribuisce al collegio sindacale il potere di convocare tutti gli organi sociali.

Al riguardo, va osservato che il T.U. concepisce il potere di convocazione come un potere diretto, non mediato dal presidente del c.d.a. o degli altri soggetti cui ordinariamente spetta il potere di convocare l’organo.

Con riguardo ai limi della potestà sindacale di convocare gli altri organi sociali , si è posta in luce l’esigenza di evitare che il collegio sindacale vada oltre i limiti funzionali che gli derivano dall’essere un organo di controllo e, in questa prospettiva si è ritenuta legittima la convocazione dell’assemblea nella misura in cui sia finalizzata alla rimozione delle irregolarità gestorie.

Questa interpretazione restrittiva viene tuttavia rifiutata da chi, al contrario, mette in evidenza come i sindaci debbano vigilare anche sulla generale osservanza della legge e dell’atto costitutivo: il che finisce per restringere notevolmente il territorio della materia istituzionalmente sottratta alla loro teorica competenza. In effetti, stante la latitudine dei doveri sindacali, l’esercizio del potere d’impulso nei confronti di assemblea ed amministratori sembra incontri il proprio unico limite nel divieto d’interferire con la sfera di competenze riservata gli altri organi.

Sembra quindi che il collegio possa non soltanto convocare l’assemblea mettendo all’ordine del giorno la revoca di uno o più amministratori oppure l’esperimento dall’azione di responsabilità nei loro confronti, ma anche convocare il c.d.a. o il comitato esecutivo ponendo sul tappeto, sia pure a livello di moral suasion, eventuali problemi relativi all’adeguatezza del sistema di controllo interno o di quello amministrativo-contabile.

 

6 – LA RESPONSABILITA’ DEI SINDACI

La responsabilità dei sindaci si configura in relazione a tutto questo: "essi rispondono dei danni conseguenti alla inadeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile, allorché il loro controllo su questi dati strutturali non sia stato svolto con diligenza e rispondono in solido con gli amministratori dei danni derivanti da atti compiuti con modalità inadeguate rispetto ai principi di corretta amministrazione.

E’ evidente che il controllo di adeguatezza di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 149 rappresenta un dovere permanente per i sindaci, durante tutto il tempo in cui si svolge la loro funzione.

Non v’è dubbio che la responsabilità dei sindaci si configura in un modo non lontano rispetto a quella degli amministratori che non facciano parte del comitato esecutivo, ma una differenza di fondo comunque permane: gli amministratori (tutti gli amministratori) sono tenuti a dar vita a quelle strutture organizzative sulle quali il collegio sindacale esercita un controllo di adeguatezza, senza peraltro che abbia il compito di concorrere alla loro formazione. La responsabilità degli amministratori nasce al momento in cui fanno o omettono di fare, quella dei sindaci nasce, a posteriori, nel momento in cui eseguono malamente o omettono i controlli loro attribuiti.

 

7 – DENUNCIA AL TRIBUNALE

L’art. 152 introduce espressamente la possibilità per il collegio sindacale di denunciare direttamente al Tribunale gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori.

E’ da ritenere che il potere di denuncia spetti al collegio e non al singolo sindaco.

La responsabilità dei sindaci, conseguente alla loro mancata vigilanza, non sembra esclusa dal ricorso del collegio sindacale al Tribunale. L’art. 152 prevede infatti che il Tribunale possa revocare "anche i soli amministratori". Questa precisazione ("anche") sembra lasciare aperta la possibilità per il Tribunale di revocare anche i sindaci.

Ai sensi del 2° comma dell’art. 152 la Consob, ove abbia sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri dei sindaci, può denunciare i fatti al Tribunale.

Dal complesso dell’art. 152 si evince un doppio livello di controlli in rapporto alle ipotesi di gravi irregolarità: la legittimazione alla denuncia spetta ai sindaci ove si tratti di atti degli amministratori; alla Consob ove i soggetti attivi delle presunte irregolarità siano i sindaci.

L’attribuzione all’organo di vigilanza del potere di denunciare le gravi irregolarità in cui sia incorso il collegio sindacale costituisce la definitiva conferma, quanto meno con riferimento alle società quotate, che la legittimazione alla denuncia ex art. 2409 rappresenta l’espressione di un interesse generale teso al corretto funzionamento della società per azioni e della sua dialettica interna che, come tale trascende l’interesse dei soci.

Gli esiti del procedimento innescato con la denuncia della Consob sono diversi a seconda del tipo di irregolarità accertata al collegio sindacale. Ove i fatti censurati siano forieri di una responsabilità esclusiva dei sindaci (come nei casi disciplinati dagli artt. 2407, 1° comma, 2386 ultimo comma e 2385 3° comma, il Tribunale si limiterà ad accertare l'irregolarità, non essendo possibile la revoca dei soli sindaci.

Nel caso in cui la denuncia ex art. 2409 attenga ai profili di responsabilità dei sindaci concorrente con quella degli amministratori, il procedimento avviato su impulso della Consob può sfociare anche nella revoca degli amministratori e nella nomina di un amministratore giudiziario.

Va sottolineato, che oggetto della denuncia da parte della Consob non è la domanda di ispezione della società o quella di revoca degli amministratori o di adozione di provvedimenti cautelari, ma più semplicemente la denuncia di fatti che integrano gli estremi di gravi irregolarità. Per il rispetto del principio fra chiesto e pronunciato è sufficiente che il Tribunale renda un accertamento (positivo o negativo) sulla sussistenza di gravi irregolarità (dei sindaci). La scelta dello strumento idoneo è rimesso unicamente al Tribunale : che può adottare un provvedimento di carattere istruttorio (ispezione della società) o un provvedimento decisorio (revoca degli amministratori) e non è vincolato da domande di parti, perché, quanto anche il ricorrente richieda l’ispezione o la revoca, non è configurabile una domanda avente l’uno o l’altro oggetto; ed il ricorrente potrebbe anche non chiedere nulla, limitandosi a denunciare le gravi irregolarità.

In sostanza l’art. 152 amplia il novero dei soggetti legittimati ad attivare il procedimento ex art. 2409 sia pure per accertare " gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri dei sindaci " solamente. Ma se " le irregolarità denunciate sussistono" anche se l’oggetto dell’accertamento non poteva che riguardare quelle dei sindaci, nulla esclude che il Tribunale possa adottare il provvedimento della revoca anche degli amministratori non risultando escluso dal 3° comma dell’art. 2409. Nella pratica, comunque, il problema è risolto dall’intervento del P.M. la cui legittimazione permane, nonostante la diversa opinione espressa in dottrina sull’assunto che l’art. 152 è norma speciale e posteriore che derogherebbe la disciplina generale dell’art. 2409.

 

8 – L’ATTIVITA’ DI REVISIONE CONTABILE

Ai sensi dell’art. 155T.U. la società di revisione deve svolgere le verifiche contabili.

Tali verifiche riguardano l’esattezza della contabilizzazione dei fatti gestionali, la corrispondenza del bilancio alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti e la conformità del bilancio alle norme che disciplinano il bilancio d’esercizio.

Il revisore deve svolgere, in sostanza, prima una verifica sulla regolarità della tenuta dei libri contabili e sull’esatta rilevazione dei fatti di gestione secondo i principi contabili, poi un controllo sui conti di fine esercizio, così da poter verificare che la realtà dei fatti aziendali sia stata esattamente riportata nelle scritture redatte nel corso dell’anno e che tutto sia stato fedelmente riassunto alla fine dell’esercizio.

Viene espressamente prevista la continuità ("nel corso dell’esercizio") di tali controlli, con ciò chiarendo un dubbio interpretativo sorto nella previgente disciplina ma sul quale vi era, comunque, sostanziale uniformità di vedute, in considerazione del corretto svolgimento della funzione e della attendibilità della tenuta delle scritture contabili.

Circa il contenuto dei compiti di verifica affidati alla società di revisione si può rilevare che quello di cui alla lett. a) dell’art. 155 (regolare tenuta della contabilità e corretta rilevazione dei fatti di gestione), consiste nel riscontro della rispondenza delle scritture contabili ai fatti aziendali ed agli eventi accaduti nel corso dell’esercizio e nella verifica dell’idoneità delle scritture contabili a rappresentare i fatti di gestione e della regolarità formale delle medesime. Ciò significa sistematicità della rilevazione, rispetto della cronologia, disponibilità della documentazione di supporto.

In considerazione della rilevanza pubblicistica assunta dalle operazioni di controllo della società di revisione, nello svolgimento della verifica di cui alla lett. a) si chiede alla società di revisione di effettuare non solo un riscontro di carattere formale-contabile, ma di spingersi fino a verificare, utilizzando gli strumenti messi a disposizione dal legislatore (accertamenti, ispezioni, richieste di dati e notizie), la corretta esposizione dei fatti di gestione nelle scritture contabili.

A riguardo è ben noto che la verifica più efficiente è quella che si realizza "all’esterno", attraverso le informazioni ottenute dai terzi che sono entrati in contatto con la società e che, trovandosi come controparte della stessa, sono quelle più attendibili.

Diligente è in sostanza la società di revisione che non si accontenta delle informazioni interne, ma svolge indagini all’esterno.

La verifica di cui alla lett. b) (corrispondenze del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti), ha per oggetto non la totalità delle registrazioni effettuate nel corso dell’esercizio, ma le registrazioni di fine esercizio.

Contabilità e bilancio si presuppongono vicendevolmente nel senso che la contabilità ordina cronologicamente e classifica sistematicamente i valori nei rispettivi conti; il bilancio compone tale valore nelle sintesi di reddito e di capitale.

Il bilancio diventa così il documento terminale che compone e sistema i valori raccolti dalla contabilità generale, per determinare il risultato economico dell’esercizio.

Ai sensi dell’art. 155 n. 2 la società di revisione è poi tenuta ad informare senza indugio la Consob ed il collegio sindacale dei fatti ritenuti censurabili.

L’obbligo di denunciare i fatti censurabili anche alla Consob obbedisce ai compiti di tutela degli investitori, di vigilanza sull’efficienza e sulla trasparenza del mercato dei capitali.

I fatti censurabili non vanno necessariamente riferiti agli amministratori potendo i medesimi riguardare anche l’operato di soggetti diversi, quali direttori generali o altre persone con mansioni direttive.

Per la Consob fatto censurabile è qualunque "fatto o illecito compiuto da persone o organi della società derivante da deviazioni dalla norma giuridica o dalla norma che abbia un effetto rilevante ai fini del bilancio"

Sembra però preferibile la nozione più ampia che non limita i fatti censurabili alle irregolarità contabili, ma a qualsiasi irregolarità attinente alla gestione e l’organizzazione sociale.

La formula utilizzata dal legislatore, che non si identifica con le "gravi irregolarità" previste dall’art. 2409, comprende ipotesi di violazioni legali e statutarie anche non particolarmente gravi, di censure che possono essere sollevate sia sul piano della legittimità come sul piano dell’opportunità economica e dell’osservanza delle regole della tecnica.

Con riguardo all’obbligo di denunciare i fatti censurabili la giurisprudenza ha considerato responsabile la società di revisione per aver ritenuto l’assoluta regolarità di pagamenti dalla cui stessa causale avrebbe dovuto risultare l’illiceità (per contrarietà a norme imperative) o, almeno, irregolarità ( per violazione delle procedure di controllo infragruppo) (Trib. Roma 26.4.1999 in Le Società 1999 p. 1232).

E’ stato rilevato però in dottrina che al revisore non compete esprimere alcun giudizio sulla validità dei titoli di incasso e di pagamento, dovendo egli solo verificare l’esistenza dei predetti titoli.

Altra dottrina tuttavia ha notato che la stessa ratio della revisione contabile risulterebbe in buona parte tradita e che i poteri (di accertamento, ispezione e controllo) all’uopo attribuiti risulterebbero ridondanti, laddove si affermasse che il flusso informativo generato dagli amministratori debba essere riguardato dalla società di revisione esclusivamente sotto il profilo della corretta rilevazione nella contabilità e della verità o falsità dei fatti ivi evidenziati.

Appare preferibile limitare l’obbligo di rilevare e segnalare le irregolarità e le illiceità dei negozi conclusi dagli amministratori, limitando a queste i "fatti censurabili" e non anche alle invalidità relative.

10 – LA RESPONSABILITA’ DELLA SOCIETA’ DI REVISIONE

L’art. 164 T.U. rinviando all’art. 2407 primo comma prevede un adempimento dei propri doveri, da parte della società di revisione, con la diligenza del mandatario, indicata dall’art. 1710 che a sua volta rinvia all’art. 1176.

Nell’esame specifico della diligenza dovuta dalla società di revisione dovrà essere valutata tenendo conto dell’art. 1176 comma 2 cc, il quale impone la considerazione della natura dell’attività esercitata e, pertanto i principi di revisione raccomandati dalla Consob acquistano la funzione di parametro di riferimento.

Va peraltro osservato che l’inosservanza dei suddetti principi non comporta automaticamente l’inadempimento della società di revisione se quest'ultima riesce a dimostrare che le procedure di controllo in concreto utilizzate corrispondono meglio o altrettanto bene dei principi raccomandati alle esigenze del caso. Così come il rispetto dei suddetti principi in particolari casi non è fase conclusiva di un esatto adempimento.

Incertezze si registrano invece con riguardo alla determinazione dell’oggetto dell’obbligazione dell’attività di revisione. La dottrina prevalente ritiene che la ricerca del vero in senso sostanziale sia in obligatione con conseguente responsabilità per la mancata scoperta del falso e/o delle frodi qualora questa sia, alla luce del criterio di diligenza del "buon revisore" imputabile alla società di auditing. Altri ritengono che in quanto obbligazione di mezzi, non vi è garanzia sulla verità delle attestazioni, dal momento che la diligenza è considerata il solo criterio per l’individuazione dell’esatta prestazione dovuta e, di conseguenza, non sarebbe richiesta la scoperta di frodi e irregolarità.

La prima opinione ha trovato seguito in giurisprudenza sul rilievo che la finalità precipua della revisione è la protezione del mercato di borsa, del pubblico risparmio, che viene realizzata garantendo la completezza, la veridicità e la trasparenza della informazione societaria. E’ infatti proprio in questa prospettiva "pubblicistica" di tutela del risparmio, che la ricerca del vero viene necessariamente considerata in obligatione per il revisore, e non però soltanto come fine eventualmente realizzabile, bensì come risultato dovuto (App. Torino 30/5/1995 in Giur. Comm., II, 492 con nota di Valensise)

E’ stato tuttavia osservato che la società di revisione ha la possibilità di scoprire non tutti i falsi, bensì solo quelli che possono emergere nell’attività di ricerca di quel vero che è la realtà attingibile dal revisore, precisamente la documentazione di primo grado ed una parte limitata di fenomeni tangibili.

Pertanto, in considerazione di ciò, ove sussistano atti o fatti di gestione che pure incidano sensibilmente sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società revisionata, ma di cui non resti traccia in contabilità e nella realtà verificabile dal revisore, per la natura del fatto di gestione ed il comportamento degli autori del fatto e dei compilatori del bilancio, il revisore non potrà avere percezione dell’esistenza del fatto di gestione e valutarne l’incidenza sulla rappresentazione contabile. Di conseguenza la società di revisione deve essere messa in condizione di poter dimostrare che, una volta accertata la presenza di un falso nella contabilità, la mancata scoperta di questo non le è comunque imputabile.

In definitiva per quanto riguarda la ripartizione dell’onere probatorio in materia di inadempimento delle obbligazioni gravanti sulla società di revisione, mentre la società revisionata potrà limitarsi ad allegare l’inesattezza della contabilizzazione dei fatti di gestione o la non corrispondenza del bilancio alle risultanze delle scritture contabili, spetterà invece alla società di revisione, ove voglia escludere l’inadempimento e la conseguente responsabilità a suo carico , dimostrare di aver usato la diligenza dovuta nell’espletamento dei suddetti compiti. In questo senso, del resto, le Sezioni Unite della Cassazione hanno di recente risolto la controversa questione della ripartizione dell’onere probatorio in tema di inadempimento delle obbligazioni stabilendo che "il creditore che agisca in giudizio per l’inesatto adempimento del debitore deve solo fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto limitandosi ad allegare l’inesattezza dell’adempimento costituita dalla violazione dei doveri accessori, della mancata osservanza dell’obbligo di dirigenza o delle difformità qualitative o quantitative dei beni, posto che incombe sul debitore convenuto l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento dell’obbligazione" (Cass. Sez. Un. 30.10.2001 n. 13.533 in F.I. 2002, 1,770).

Società di revisione, dipendenti e responsabili della revisione sono responsabili in solido per espresso disposto dell’art. 164 per fatti illeciti che abbiano danneggiato i terzi.

Controversa è la determinazione del contenuto della nozione di "fatti illeciti" che alcuni identificano con gli inadempimenti contrattuali dei quali può rendersi responsabile la società di revisione verso la società revisionata; altri ritengono che si debba far riferimento al più generale principio del neminem laedere . Di quest’ultima opinione sembra essere la giurisprudenza (Trib. Torino 18/9/1993 in Giur. It. 1994, 1, 2, 655 con nota di Santaroni) per la quale l’art. 2043 è "norma generale cui deve essere ricondotta la disposizione dell’art. 12 D.P.R. n. 136/1975 (oggi art. 164) nella parte in cui dispone, come specie a genus che le persone che hanno sottoscritto la relazione di certificazione…… sono responsabili in solido , con la società di revisione, per i danni conseguenti da fatti illeciti nei confronti …. dei terzi". Ciò equivale ad affermare che la responsabilità extra contrattuale di responsabili della revisione e dipendenti , in solido con la società di revisione, è regolamentata dai principi generali dell’art. 2043 che vengono applicati alla fattispecie del controllo contabile in funzione della tutela dell’investitore e del diritto di costui ad informazioni trasparenti, corrette e veritiere sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società, perché soltanto un’informazione che abbia le menzionate caratteristiche può consentirgli di compiere consapevoli scelte di investimento e di disinvestimento.

Sotto il profilo probatorio non sono state accolte le osservazioni di chi aveva suggerito di invertire in questo caso l’onere della prova dell’elemento soggettivo dal momento che il terzo non sarebbe mai in condizione di provare una negligenza nello svolgimento delle procedure di revisione dal momento che non ha assistito al loro svolgimento , né del resto avrebbe potuto assistervi.

Occorre considerare, tuttavia, che trova largo seguito anche nella giurisprudenza la tesi che, con il riferimento a quelle attività svolte da un soggetto collettivo che presenta un certo grado di organizzazione e sistematicità, l’accertamento della responsabilità prescinde dalla dimostrazione della colpa.

Nel caso della società di revisione l’imputazione della responsabilità non può che avvenire sulla base di criteri oggettivi.

Innanzitutto la struttura del revisore, necessariamente societaria, presuppone un’organizzazione imprenditoriale con un livello di organizzazione del lavoro, in media, abbastanza complesso.

In secondo luogo, data la finalità dell’istituto della revisione contabile, la società di revisione deve fornire un servizio professionale che è previsto legislativamente in funzione preventiva del verificarsi di eventi dannosi. La caratteristica di questo tipo di norme è che, elaborandole, il legislatore ha già svolto in astratto un giudizio di ragionevole prevedibilità del verificarsi di eventi dannosi in seguito all’inosservanza dell’azione o dell’omissione in esse contenute; per tale motivo è possibile prescindere dalla concreta individuazione dell’azione colposa per l’imputazione della responsabilità.

Si consideri, inoltre, che l’assunzione a carico della società di revisione del rischio professionale è confermata dall’osservazione che nella relativa disciplina vi sono elementi che dimostrano che il legislatore ha avvertito anche la necessità di salvaguardare esigenze di distribuzione e di copertura del danno: tra i requisiti richiesti per l’iscrizione nell’albo speciale delle società di revisione c’è quello della sussistenza di "idonea garanzia prestata da banche o risparmiatori o intermediari iscritti nell’elenco speciale previsto dall’art. 107 del d.leg. 1.IX.1993 n. 385 a copertura dei rischi derivanti dall’esercizio dell’attività di revisione contabile " (art. 14 n. 4 T.U., già art. 8 del d.p.r. n. 136/1975).

In conclusione, la società di revisione assume il rischio professionale dell’attività svolta secondo criteri oggettivi di imputazione che permettono di prescindere, in un giudizio di responsabilità, dalla dimostrazione della colpa.

Con riguardo al contenuto della prova liberatoria a carico della società di revisione ritengo che esso possa essere individuato in quello previsto in materia di responsabilità per danni risentiti dai clienti o dai terzi nello svolgimento di servizi di investimento e cioè "nella prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta", che è poi il criterio giurisprudenziale applicato alla responsabilità da prospetto (Trib. Milano 11.1.1988 in B.B.T.C. 1988,II,532).

A tal fine un utile ausilio sarà dato dai c.d. principi di revisione tenendo sempre presente, tuttavia, la fattispecie concreta in cui la società di revisione si è trovata ad operare, allo scopo di verificare se essa, applicando i principi e le procedure di revisione raccomandate, ha diligentemente adempiuto agli obblighi imposti dal contratto di revisione e se quel complesso di regole generali ed astratte rappresentate dai principi di revisione è adeguato alla effettiva situazione sottoposta al controllo della società di revisione. Ciò perché "l’impegno a carico del revisione importa non solo l’obbligo di applicare diligentemente i principi generali raccomandati, ma anche e soprattutto di valutare se essi siano adeguati e consoni al caso preso in esame. Ove risulti che tale adeguatezza non ricorre, spetta al revisore svolgere ulteriori indagini, compiere gli accertamenti e porre in essere quelle procedure che l’esigenza del caso richiede. Solo in tal modo potrà affermarsi che la diligenza dovuta è stata concretamente impegnata.

In aderenza ai principi dell’art. 2043 si richiede l’esistenza del nesso di causalità tra il fatto compiuto del revisore e il danno subito dal terzo.

In dottrina secondo alcuni autori si ritiene ipotizzabile il nesso di causalità anche se il terzo non ha letto in prima persona la relazione erronea o no veritiera contenente il giudizio sul bilancio d’esercizio consolidato.

Secondo altri, per evitare un eccessivo allargamento dell’area di potenziale responsabilità del revisore si suggerisce di circoscrivere la stessa ai casi in cui il bilancio oggetto del suo esame rappresenti una situazione della società talmente diversa da quella reale che colui che assume di aver subito un danno per aver compiuto un operazione facendo affidamento sul giudizio del revisore non avrebbe compiuto l’operazione ovvero l’avrebbe compiuta a condizioni diverse se avesse conosciuto la situazione reale.